Drive e dark store: la crisi sanitaria come acceleratore di cambiamento?
Apprezzato da un certo numero di famiglie francesi già da prima della crisi sanitaria, l’e-commerce alimentare ha conosciuto uno sviluppo folgorante anche prima dell’inizio del lockdown. All’inizio di aprile 2020, l’e-commerce alimentare sfiorava, secondo Nielsen, la quota di mercato simbolica del 10% sui prodotti di largo consumo e i prodotti freschi in self-service. Se è vero che la consegna a domicilio ha conosciuto uno sviluppo spettacolare, oltre l’80% della crescita dell’e-commerce “generalista” è stata realizzata dal drive (in auto o a piedi).
Se è vero che i drive hanno registrato una forte crescita nel settore alimentare, questi circuiti alternativi si sono sviluppati anche in altri settori, tra cui la grande distribuzione specializzata (fai-da-te e materiali, giochi e giocattoli, attrezzature per la casa, sport e così via) o il settore tessile, che finora preferivano orientarsi alla consegna a domicilio o al sistema Click & Collect.
Nonostante la fine del lockdown a metà maggio, le regole di distanziamento sociale, che limitano il numero di persone nei negozi e l’osservanza delle misure di sicurezza comportamentali (utilizzo della mascherina, soluzione disinfettante per le mani all’entrata, ecc.), dovrebbero senz’altro consolidare stabilmente queste nuove abitudini di consumo nei prossimi mesi o anni.
A condizione, tuttavia, che il servizio faccia la sua parte. Se durante il periodo di crisi e di attuazione di soluzioni alternative in un contesto di emergenza, i consumatori hanno potuto accettare un’esperienza di acquisto “discontinua” (fluttuazioni nella disponibilità dei prodotti, file, leggeri ritardi rispetto agli slot di recupero degli ordini definiti…), in futuro la customer experience costituirà, senza dubbio, una delle leve commerciali per sviluppare queste nuove modalità di consumo.
Di fronte a questa nuova domanda, i distributori dovranno quindi lavorare per trovare l’equilibrio tra i costi per garantire questi servizi, una percentuale di servizio soddisfacente e la disponibilità degli stock (affidabilità degli stock e gestione dei prodotti sostitutivi). Mentre l’organizzazione dei punti vendita e l’ampliamento delle competenze dei collaboratori per realizzare queste nuove missioni saranno tra gli aspetti salienti del successo dell’attuazione di questi nuovi modelli.
Quando il punto vendita diventa un centro logistico di prossimità
Nella periferia dei centri urbani, nelle grandi zone commerciali, se per i clienti il modello drive sembra essere grosso modo identico, in realtà per i distributori si basa su modelli logistici molto diversi. Così, mentre alcuni marchi hanno scelto di utilizzare lo stock del negozio (riserva o reparti) e di effettuare le consegne in una zona addossata al punto vendita, altri hanno preferito creare dei “dark store”, aree di negozi o vecchi negozi riabilitati come magazzino dedicati all’e-commerce (drive e consegna a domicilio). Infine, altri marchi hanno privilegiato i punti di ritiro addossati a un vero magazzino (spesso fortemente automatizzato), per le configurazioni drive più intense.
In ogni caso, tali configurazioni devono far evolvere le competenze degli impiegati della grande distribuzione, fino ad allora orientate all’organizzazione delle aree di vendita e alla consulenza dei clienti. La preparazione degli ordini provenienti dal canale e-commerce è in effetti un mestiere prima di tutto logistico. Ciò implica che, per garantirne l’efficacia, sia necessaria un’organizzazione ultra rigorosa: ottimizzazione dei percorsi di preparazione degli ordini, programmazione delle preparazioni in tempo reale; specializzazione (o no) delle persone preposte alla preparazione di ogni ordine, raggruppamento degli ordini in base alle fasce orarie riservate, ecc.
Nei casi di stock condivisi con il negozio principale, è anche necessario suddividere i team e sincronizzare le preparazioni degli ordini con l’attività tradizionale di consulenza alla vendita e di riassortimento dei reparti. Il tutto definendo le nuove strategie in termini di gestione degli stock tra riserva, reparti e ordini drive. In altre parole, se oggi è difficile per i distributori non proporre questi nuovi modelli di vendita, la loro attuazione deve essere ottimizzata per aumentare l’efficacia senza vincolare il canale di vendita tradizionale. Tanto più che è impossibile applicare sovrapprezzi ai clienti che desiderano usufruire degli stessi prezzi del negozio.
Le sfide dell’affidabilità degli stock, del tempo reale e dell’agilità
Per rispondere alle sfide della customer experience nel contesto omnicanale, i distributori devono avere informazioni in tempo reale affidabili sugli stock (area di vendita, riserva, dark store…), ma anche una conoscenza approfondita delle preferenze dei clienti, per limitare l’esaurimento delle scorte e proporre, se del caso, prodotti sostitutivi. Parallelamente, devono ottimizzare i processi per aumentare la produttività e controllare i costi di fronte all’aumento dei volumi. Questo avviene necessariamente attraverso una strumentazione specifica, con soluzioni orientate prima di tutto alla logistica.
Degli strumenti informatici che devono anche poter accompagnare i marchi nell’evoluzione delle loro strategie, con l’attivazione, la disattivazione o l’adeguamento agile dei processi logistici. In primo luogo perché questi servizi, ancora recenti, non hanno raggiunto la piena maturità e ogni negozio dovrà procedere a un esame di tipo “test & learn” per definire i canali più adatti al suo bacino idrografico. Poi, perché le strategie logistiche dovranno potersi adattare alla stagionalità, ai giorni della settimana o alle ore della giornata, in base all’affluenza su ogni canale.
Di fronte a queste evoluzioni, non è quindi fuori discussione immaginare che il negozio possa diventare, a lungo termine, un vero hub logistico di prossimità, in grado di servire tutti i canali di vendita e tutte le modalità di distribuzione, inclusa la consegna a domicilio. Un nuovo sito di stoccaggio che permetterebbe, inoltre, di accorciare le distanze di trasporto (e quindi l’impatto ambientale degli attori della distribuzione), di introdurre scenari di vendita tra i diversi punti vendita , cosa che i pure player non sono in grado di proporre (poiché non dispongono di punti vendita) e di sfruttare il patrimonio immobiliare immobilizzato.